Da Lodi a Milano passando per il resto del mondo: è questo il percorso di Andrea Mariconti, classe 1978, artista dalle grandi contraddizioni. Dopo un percorso formativo piuttosto lineare, fatto di studi accademici sulle arti visive e sulle discipline dello spettacolo, Mariconti comincia ad applicare e sperimentare con l’arte, scoprendone le mille potenzialità.
Intraprende un percorso di specializzazione in arte terapia e soggiorna in Kosovo tra il 2005 e il 2006 aiutando i bambini traumatizzati a guarire attraverso l’arte. Seguendo questa riga comincia a viaggiare tra l’Italia e il Sud Africa coordinando laboratori artistici per bambini con problemi relazionali, vincendo anche il Premio UNESCO International Bioethics Art Competition nel 2011. Nel corso della sua carriera ventennale espone in tutto il territorio nazionale e all’estero arrivando fino alle gallerie di Tokyo e Taiwan.
Quando si cerca di analizzare i lavori di questo artista dalla grande sensibilità, la prima cosa che colpisce è la scelta dei materiali e il modo in cui essi diventano non solo parte integrante della realizzazione dell’opera, ma anche veicolo espressivo dei suoi significati. Si potrebbe dire che la potenza dell’arte di Mariconti sia proprio la materia: carta di riso, legno, cenere, cera e altri materiali vengono utilizzati in luogo dei classici pigmenti e creano spessore spingendo quasi l’immagine a venir fuori dalla tela. Allo stesso modo, poiché l’unico colore – nel senso canonico del termine – utilizzato dall’artista è il bianco, sono i materiali stessi e il modo in cui si contaminano l’un l’altro a dare vita allo spettro cromatico delle singole opere.
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La serie Interferenze, l’importanza del colore e della materia
Parlavamo di un artista dalle grandi contraddizioni. In effetti è singolare trovarsi davanti a quadri in cui il colore è tecnicamente non applicato e tuttavia sono visibili numerose sfumature, un’arte visiva dove il dipinto su tela assume caratteristiche di tridimensionalità tipiche della scultura, e dove le immagini hanno un senso proprio in virtù di tutte queste opposizioni insieme.
La serie Interferenze va ad accentuare ancora di più questa combinazione di incoerenze. Il soggetto principale è la figura umana, ma questa è sempre delineata e realizzata sulla base degli elementi indicati fino ad ora: materiali sperimentali ed estremamente plastici, uniti a un’apparente bicromia di bianco e nero. I dettagli dei volti, le espressioni e i moti interiori vengono delineati proprio dai vuoti cromatici e dagli spazi intorno. I colori vengono dati da ciò che colore non è: i materiali utilizzati, che dovrebbero essere il corpo dell’opera e non il suo riempimento, e il bianco, che tecnicamente non è neanche un colore.
Eppure, nonostante queste apparenti complessità, a dispetto delle mille sfaccettature che ne compongono le opere, i soggetti sono realizzati con una sobrietà estrema, quasi disarmante. È questa la potenza dell’opera di Mariconti, che qualcuno ha paragonato al rumore bianco, quel suono di fondo di cui ci si accorge soltanto quando esso cessa e rimane il silenzio: l’opera si racconta attraverso ciò che non è. Un’impresa in cui solo una persona dalla sensibilità fuori dal comune poteva riuscire.
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