Le immagini rappresentate da questo artista sembrano saltate fuori da un libro di fiabe. Sono insieme esotiche eppure familiari. Le ambientazioni nostalgiche da fin-de-siècle ne sfavilla attraverso e svela il mondano saper vivere dei ruggenti anni ’20. Eppure queste interpretazioni, che a volte appaiono patinate, veicolano lo spirito dei nostri tempi.
Così Claus Rudolph si racconta sul suo sito web ufficiale. Questo fotografo unico nel suo genere, che da Stoccarda ha conquistato la scena artistica mondiale, è riconoscibile per l’impronta passionale, romantica e surreale che permea le sue opere. Le sue fotografie sono intrise di atmosfere da belle époque di inizio secolo, meravigliosamente retro eppure così moderne nella ricerca delle composizioni e dei colori, che potresti pensare di ritrovarti un giorno a vedere per strada una scena come quelle da lui rappresentate.
Sempre sul suo sito web rintracciamo una delle poche fotografie dell’artista: camicia nera, capelli brizzolati legati sulla nuca, rigorosamente bianco e nero. Un cineasta d’altri tempi, e mai definizione fu più azzeccata, considerato il suo modo di lavorare e di vedere il mondo.
Un po’ Fellini, un po’ circense, un po’ decadente, un po’ barocco. Di certo molto cinematografico. Anzi, assolutamente cinematografico: c’è chi lo ha definito regista della fotografia per la meticolosità con cui prepara le sue scene, dalle innumerevoli comparse agli oggetti con cui interagiranno.
Ogni cosa è studiata e mai lasciata al caso. Le posture del corpo sono plastiche, le espressioni immortalate esattamente nel momento della perfezione. Solo così possono restare per sempre immobili sulla pellicola e allo stesso tempo dare l’impressione di essere in movimento, nel continuo svolgersi dell’azione, qui immortalata in quello che è solo il singolo fotogramma di una scena scritta e sceneggiata ad arte. È come se ogni fotografia raccontasse la sua storia in maniera chiara, anche se non specificatamente espressa. Una donna circondata da uomini, seduta su un’altalena come un uccello in gabbia, guarda dritta verso l’obiettivo. I suoi lacchè non lo sanno, ma ha chiaramente lei il comando della situazione. La fotografia racconta anche ciò che non dice.
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Un mondo sospeso tra realtà e finzione
Quello di Claus Rudolph è un mondo sospeso a metà – proprio come il cinema – tra ciò che è reale e ciò che è finzione. I contesti e le ambientazioni sono monumentali, le scene corali. In una folla di comparse, uno o due personaggi spiccano sugli altri come archetipi letterari. Si parla d’amore, di dramma, di satira e nonsense, ma sempre in maniera talmente armonica da risultare naturale, anche nella più irriverente delle ambientazioni.
I suoi lavori sono caratterizzati da esplosioni di colori vivaci ed erotismo da belle époque, che si fa strada tra il rosso intenso dei tessuti, il dorato delle fiamme, il blu notte dei cieli di cartapesta su cui campeggiano stelle al neon. Il Moulin Rouge con le sue atmosfere passionali e intense è raccontato dai costumi stravaganti, dal chiacchiericcio – che non si sente ma si percepisce – degli ospiti e dalla sensualità viva e carnosa delle donne.
In altre opere, invece, tutto diventa etereo. I personaggi leggeri si lasciano sollevare da palloncini, danzano sulle punte, si immergono in una luce ovattata e impalpabili tessuti dai colori delicati.
Ci sono poi le opere che capovolgono ogni aspettativa. Sprazzi di sogni, frammenti onirici dove è perfettamente naturale ritrovarsi con un cavallo a tavola o un elefante per strada a Venezia. Un onirico che sfiora i confini del kitsch, ma con tale maestria da non precipitare mai oltre l’orlo e risultare inaspettatamente naturale. Quello che più colpisce è proprio questo: la coerenza tra personaggi e contesto, la compattezza con cui archetipi provenienti da mondi diversi si armonizzano l’uno con l’altro come se fosse la cosa più ordinaria del mondo. E quando porti un elefante a Venezia, riuscire a farlo passare inosservato è un’impresa non da tutti.
Luoghi e immagini fuori dal tempo, sono quelli di Rudolph, frammenti tirati fuori dal sogno di un folle, eppure immediati e comprensibili. Forse perché la dimensione onirica la viviamo tutti, anche se non tutti abbiamo il coraggio di raccontarla per quello che è, con i suoi nonsense e l’assenza di logica, eppure tanto legata all’Es da non instillare dubbi sulla sua autenticità.
Ma soprattutto, nel lavoro di Rudolph è sempre presente una costante e riuscita ricerca dell’armonia. Persino nelle scene più freak, più da baraccone, dove i personaggi sono grottesche caricature di ciò che è antiestetico secondo il senso comune, tutto è armonioso. Persino nel bizzarro, Rudolph fa in modo che tutto risulti profondamente equilibrato, e inevitabilmente bello.
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