Immaginate di guardare un quadro. Una figura bidimensionale su un muro, perfetta nelle proporzioni, incastonata nella sua cornice per il godimento di chi guarda. Adesso immaginate di afferrarla, questa cornice, e di tenderne gli angoli a vostro piacimento. La tela si distorce in balia dei capricci delle vostre mani, e con essa i colori, le linee e le prospettive del disegno. Ecco come nasce l’arte di Alessandro Gozzuti, romano classe 1970, e la sua visione distorta – è proprio il caso di dirlo – del reale.
Quella di Gozzuti è una storia di studio e sperimentazione. Diplomatosi in Arti della Grafica e Fotografia presso l’Istituto d’Arte a Roma, e poi in Illustrazione Digitale presso l’Accademia di Comunicazione di Milano, si dedica da autodidatta all’approfondimento degli studi di prospettiva e della computer grafica. Inizialmente ispirato da Escher, sviluppa un suo personale linguaggio comunicativo che lo porta ad andare oltre le due dimensioni della classica arte pittorica e a vedere l’opera come un corpus in tre dimensioni che, dietro la sua guida, viene continuamente riscritta e coreografata in quella che egli stesso definisce una distorsione totale.
C’è chi, analizzando le sue opere, parla di pittoscultura, per il modo in cui la sua visione riesce a portare il quadro sulle tre dimensioni, inglobando in esso non solo la cornice – che non è più relegata al ruolo di delimitatore, ma diventa parte integrante del risultato finale – ma anche l’occhio di chi osserva, che scopre geometrie sempre nuove a seconda delle diverse angolazioni. Lo stesso può dirsi per la scelta di tecniche e materiali: disegno e computer grafica si incontrano, così come legno, gesso e strutture fisiche e tridimensionali.
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Un futurista contemporaneo
Quando parla di sé, Gozzuti si definisce una sorta di futurista moderno. I temi del futurismo – velocità e sperimentazione in primis – ci sono, ma vengono rielaborati in una chiave nuova e decisamente più aggiornata. Probabilmente questo è dovuto alla formazione in computer grafica, che lo ha portato ad elaborare una sua personalissima concezione del colore e dei materiali, e del modo in cui le distorsioni agiscono sulle dimensioni finali dell’opera.
Del resto, egli stesso lo ammette, nonostante le influenze escheriane e futuriste, Gozzuti non riesce a fare a meno di utilizzare un’impronta che è soltanto sua, che non sia emulazione di qualcosa o qualcuno ma semplice rappresentazione nata dalla sua fantasia. I disegni vengono realizzati di getto e poi elaborati, sono figli di ricordi e visioni del quotidiano dell’artista, percezioni soltanto sue che vengono poi condivise con il mondo.
Un mondo, tra l’altro, intriso di una straniante solitudine. Le ambientazioni delle opere sono tipicamente urbane o extraurbane, frammenti di vita in cui di cui le strade sono protagoniste indiscusse, eppure nessuna figura appare mai a popolarle. Anche quando la prospettiva sembra suggerire come punto di vista quello del conducente di un auto, il mondo viene visto sempre in prima persona. Chi guarda è assorbito dall’opera e non può fare rifermento a nient’altro che se stesso. Quest’assenza di umanità, che resta però visibile nelle tracce del suo passaggio, fa in modo che le sue opere replichino immagini e frammenti di ricordi fuori dal tempo. E forse, proprio per questo, universali.
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