Classe 1950, nato nel Rione Monti, cuore storico e pulsante di Roma, Bruno Melappioni cresce in una famiglia numerosa dove l’arte scorre nel sangue. Con un padre cantante lirico e uno zio pittore, Bruno sceglie all’inizio una strada che non è la sua, quella di giurista, per poi assecondare la passione artistica da cui non si allontanerà mai più. Nel corso della sua carriera quarantennale sperimenta tecniche differenti e manipola ogni materiale che gli capita tra le mani alla ricerca del suo stile. Espone spesso nella sua città natale, un suo grande amore, e infonde nell’arte la stessa passione che lo guida nella vita.
Lo stile che ha a lungo ricercato tra i vari esperimenti possiamo ammirarlo oggi nelle sue opere: ritratti, quasi sempre di donne, tanto intensi quanto eterei dove il tratto di matita viene sostituito da un lungo filo di ferro sapientemente lavorato. È questa la caratteristica che rende unica l’opera di questo artista: una ricerca della forma nuda che si affida alla linea di metallo per raccontare una storia fatta di sforzo ed emozione, una storia che però lascia a chi la legge la possibilità di arricchirla con il suo personale vissuto.
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Se dovessimo descrivere la sua opera con una singola parola, questa sarebbe senza dubbio “essenziale”, ma nell’accezione più letterale del termine. Non è un’opera povera o spoglia, è un’opera che va alla ricerca dell’essenza delle cose, siano esse spazi o sensazioni.
La capacità di rendere visibile l’essenziale
È interessante come la ricerca di una semplicità all’apparenza vuota sia tanto carica di emotività e significato. Perché in ogni opera, in ogni ritratto è evidente quanto siano intensi i moti che colpiscono lo spettatore. In questo Melappioni potrebbe essersi portato dietro il retaggio del suo passato in teatro, la capacità innata di veicolare emozioni in maniera così semplice e diretta. È sorprendente come questo artista sia riuscito a trovare un modo assolutamente unico di guardare il mondo.
Quello che colpisce delle sue realizzazioni è un continuo gioco di armonie e di equilibri tra aria e metallo.
L’aria, che in maniera superficiale saremmo portati a interpretare come vuoto, diventa il mezzo per riempire le forme, forse la parte più importante dell’opera. Il vuoto – che vuoto non è – permette di guardare dietro i confini e le linee, di osservare quello che le circonda e di diventare parte del disegno stesso, perché si sa che i vuoti ognuno li riempie con quello che ha dentro.
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Per riuscire in un’impresa del genere il talento non basta. È necessario un lavoro certosino e accurato su due fronti ben definiti. Il primo è materiale: un metallo ribelle e difficile da lavorare va reso docile e ordinato. Il secondo richiede uno sforzo più complesso ed è legato alla capacità di andare a fondo, perché solo così si può portare alla luce l’essenza. Andare oltre la materia, oltre la fisicità della carne permette a Melappioni di far emergere l’emozione che muove le sue muse. È così che una singola linea di metallo trasmette l’idea dello sforzo muscolare, del dolore, dell’espressività del momento. I ritratti diventano vivi nonostante la loro bidimensionalità.
L’intera opera di Melappioni è un paradosso: è essenziale eppure incredibilmente dettagliata, vuota in apparenza ma pregna di significato, bidimensionale e pur sempre capace di riempire l’ambiente intorno. Una visione d’artista degna delle migliori gallerie.